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La storia incredibile dell’Imu bis e l’affermazione di Einaudi alla Costituente

La storia incredibile dell’Imu bis e l’affermazione di Einaudi alla Costituente

Dietro la ‘persecuzione’ dell’immobiliare, il disegno di una redistribuzione dei patrimoni? Questa è la domanda che pone e si pone Corrado Sforza Fogliani, presidente Confedilizia.

L’imposta di scopo comunale (ma c’è anche quella provinciale, istituita nel maggio dell’anno scorso con uno dei tanti provvedimenti sul federalismo) nacque con Prodi e aveva limiti ben precisi (specifiche opere pubbliche, finanziabili con l’imposta in questione – soprattutto – solo sino al 30 per cento). Poi, il federalismo municipale: che stabilì che, con regolamento dello Stato, si sarebbe potuto 1) allargare l’elenco delle fattispecie di opere pubbliche finanziabili con l’imposta di scopo; 2) prevedere che essa fosse applicata anche per 10 anni, anzicchè per soli cinque; 3) attribuire, soprattutto, ai Comuni la possibilità di finanziare con l’imposta in questione anche l’intero ammontare della spesa per l’opera pubblica da realizzare.

Ora, un nuovo decisivo allargamento: quello che si poteva fare solo con regolamento statale, lo potranno adesso fare i Comuni stessi, direttamente, con proprio regolamento. E questo, accompagnato da un gravosissimo appesantimento: l’imposta (fermo il fatto che la misura dell’aliquota non potrà essere superiore allo 0,5 per mille) si applicherà anche alle prime case e sulla stessa base imponibile dell’Imu (su rendite catastali, cioè, aumentate del 60 per cento rispetto all’Ici).

Dalla Repubblica (che scoprì la cosa tra le pieghe del provvedimento sulle ‘semplificazioni’ tributarie) la nuova versione dell’imposta di scopo venne subito battezzata – non senza ragione – come un’Imu bis. E, per quel giorno, fu tutto un affannarsi di politici e di rappresentanti di partito a prendere le distanze dalla nuova imposta (l’ennesima, di questo Governo) sulla proprietà della casa. Dopo di che, ci si aspettava – naturalmente, ma era solo un’ingenuità – che la nuova Imu non l’avrebbe passata liscia, in Senato. E’ invece accaduto perfettamente l’opposto, l’incredibile: che non se ne è neppure parlato, o quasi.

In Commissione, c’è stato solo un fugace accenno del presidente della stessa, che si è limitato a dire che, con il provvedimento, ‘si consente ai Comuni di disciplinare con regolamento l’imposta di scopo, nel quadro della disciplina recata dalla legge finanziaria del 2007″ (Prodi). In assemblea, è poi intervenuta in argomento solo una senatrice del Pd (peraltro, per esprimere piena approvazione al provvedimento proposto da una collega del Pdl) mentre il Sottosegretario all’economia e alle finanze ha – testualmente – detto questo: che l’intervento sull’imposta di scopo costituiva ‘semplicemente l’aggiustamento formale conseguente al fatto che l’Ici è stata sostituita dall’Imu’. Nelle dichiarazioni di voto, da ultimo, solo un senatore dell’Idv ha fatto un cenno (critico) all’imposta di scopo.

La vicenda è emblematica
e si presta a molteplici considerazioni

La prima considerazione è che questa vicenda dimostra, ancora una volta, quanto sia vero ciò che tutti coloro che hanno approfondito la storia del fiscalismo, sanno bene: che ogni imposta nasce piccola piccola, lieve, controllata e che poi progressivamente (e inesorabilmente) si allarga e appesantisce, sotto la spinta dei politici – o dei ‘tecnici’ – di turno.

Seconda considerazione.
In questo particolare momento, le dichiarazioni del mondo politico hanno più che mai nessuna attendibilità. Come s’è visto, s’è passati – da un giorno all’altro – dalle più aspre critiche (sulle agenzie di stampa) al silenzio assoluto (in Commissione e in aula). Il Parlamento è, di fatto, sotto scacco, deve – con il Governo che agita ad ogni piè sospinto lo spauracchio della Grecia – votare e basta. La conquista dell’approvazione di un ordine del giorno viene, significativamente, contrabbandata per un successo.

Terza considerazione.
In un suo comunicato, il Ministero dell’economia e delle finanze s’è affrettato a dire che l’imposta di scopo è stata sinora applicata da 20 Comuni in tutto. Ma certo…, i Comuni non l’hanno applicata perché non potevano contare sul gettito delle prime case e, soprattutto, potevano con l’imposta finanziare le opere pubbliche solo al 30 per cento (le modifiche del federalismo non sono infatti entrate in vigore, in mancanza del previsto regolamento statale, mai emanato).

Il resto dovevano mettercelo i Comuni stessi, per così dire di tasca propria. Ma ora, invece, potranno – a briglia sciolta – finanziare con l’imposta ogni opera pubblica che essi vogliano, al 100 per cento: ed è facile immaginare – affamati come sono di soldi – che a poco a poco faranno largo uso dell’imposta, come rivisitata. Già Luigi Einaudi, del resto, diceva alla Costituente (seduta 31.7.1946) che – in sostanza – quando gli amministratori locali hanno una possibilità in materia tributaria, è per loro pressochè un fatto d’onore sfruttarla al massimo limite consentito.

Quarta, ed ultima, considerazione.
Il Governo Monti è alla disperata ricerca – per (tentare di) mettere ordine nei conti pubblici, sperando che serva – di nuove entrate. Ai Comuni (che pretendono – e su questa strada vengono paradossalmente seguiti da tutti perchè di Comuni ce n’è di destra e ce n’è di sinistra – che la loro intera spesa pregressa sia incomprimibile, come se – specie i più grossi – non fossero invece caratterizzati da sprechi enormi, intollerabili, che non hanno di certo l’eguale neanche nello Stato), ai Comuni – dunque – Monti ha tolto fondi, per proprie necessità (l’Imu lo prova).

Però, dà loro soldi in altro modo: ad esempio, e siamo in argomento, rompendo la (preesistente) diga in materia di imposta di scopo. Inutile poi dire che il cespite colpito è sempre quello prediletto da questo Governo: gli immobili (ma, rigorosamente, solo quelli della proprietà diffusa; ferma la protezione delle Siiq, delle Siinq e dei fondi immobiliari, cioè di forme di investimento ricolme di costosissime – per lo Stato – e non toccate agevolazioni fiscali).

Ciò che fa seriamente pensare a molti che, dietro questo accanimento tributario a carico di uno specifico settore dell’immobiliare, vi sia – da parte di frange ministeriali tuttora simpatizzanti di superate concezioni – un più ampio (surrettizio) disegno: quello di provocare, con provvedimenti fiscali a raffica a carico delle case e degli affitti, una vera e propria redistribuzione dei patrimoni. A riprova, la dichiarata disponibilità a diminuire le sole imposte sui trasferimenti. Per favorire la mobilità della proprietà degli immobili, appunto.

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