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Terzo Rapporto sul Mercato Immobiliare 2012 Nomisma

Terzo Rapporto sul Mercato Immobiliare 2012 Nomisma

Pietro Modiano, presidente di Nomisma, traccia lo scenario economico e di mercato per i prossimi mesi.

Sul mercato immobiliare italiano emerge un potenziale recessivo più di quanto rifletta la lenta erosione dei prezzi che, tuttavia, nell’ultimo quadriennio ha accumulato una discesa dei valori del 10-15%. Il nodo cruciale, però, resta il mercato finanziario. Negli ultimi mesi non sono arrivate le notizie di distensione dal mercato del credito, che fondavano sulla speranza che gli interventi europei avessero rimosso i vincoli di liquidità e si fossero trasferiti all’economia reale. Le erogazioni continuano a ridursi, non per effetto restrittivo dell’offerta, ma per un brusco indebolimento della domanda.

Sergio De Nardis, chief economist di Nomisma, mette a fuoco le ansie e le attese di una congiuntura depressiva dentro un contesto di interdipendenza tra politica monetaria europea e politiche economiche nazionali. La speranza è che la prospettiva di un’azione adeguata della BCE finisca col riflettersi anche sulle economie reali, allentando la stretta creditizia che ostacola le decisioni di spesa di imprese e famiglie. Restano, però, importanti interrogativi che si sono riverberati sulle dinamiche degli spread.

Luca Dondi, responsabile real estate di Nomisma, evidenzia le recenti dinamiche di mercato e analizza le ragioni strutturali della debolezza del settore. L’ormai evidente rottura strutturale nelle strategie di allocazione creditizia verso il settore immobiliare rispetto al passato rende improbabile che l’inevitabile aggiustamento possa giungere attraverso un maggiore sostegno della domanda. Le aspettative di timida ripresa per la fine di quest’anno si sono fragorosamente infrante sui numeri a consuntivo. Quando si pensava di aver ormai raggiunto la soglia di resistenza, dopo un quadriennio di continui arretramenti, si è abbattuto sul settore un nuovo tracollo di impronosticabile durezza. Le quasi 600 mila compravendite residenziali e i circa 4,2 miliardi di investimenti corporate del 2011 rappresentano, infatti, grandezze nemmeno paragonabili rispetto ai livelli su cui si attesta oggi il mercato immobiliare italiano.

Le previsioni da questo punto di vista sono impietose, con transazioni residenziali ancorate sulle posizioni di metà anni ‘90 per il prossimo biennio. La tendenza alla contrazione tuttora in atto e la capacità del settore di travolgere qualsiasi ‘resistenza’, non consentono di escludere ulteriori arretramenti, che alla luce dell’esiguità dei livelli attuali non potranno che essere di modesta entità. Si tratta di dinamiche a dir poco sorprendenti alla luce delle persistenti manifestazioni di interesse da parte della domanda potenziale e, più in generale, delle dimensioni della nostra economia.

Non meno rilevante appare il gap tra il livello attuale degli investimenti corporate e il target potenziale, soprattutto in relazione ai segnali di stabilizzazione del quadro di finanza pubblica e di ritrovata credibilità internazionale, testimoniate dall’erosione di quell’indicatore istantaneo di affidabilità rispetto agli altri Paesi che è diventato lo spread. In una situazione di ripristinata normalità emotiva non è, infatti, pensabile che l’Italia raccolga la miseria dell’1,6% degli investimenti immobiliari realizzati a livello continentale. Il costante deflusso di capitali stranieri, l’attendismo degli operatori istituzionali domestici, riconducibile al protrarsi delle prospettive recessive, nonché le proibitive condizioni di accesso alla leva finanziaria hanno favorito un drastico ridimensionamento del mercato, che a consuntivo faticherà a superare i 2 miliardi di euro.

Sviluppato nella fase ascendente del ciclo rappresenta l’antefatto fondamentale per comprendere la rilevanza che il deleveraging attuale assume anche in Paesi, come il nostro, in cui l’esposizione del comparto verso il settore bancario risulta decisamente contenuta. L’eccesso di sostegno, anche se temporalmente concentrato, si è rivelato una trappola da cui le banche italiane cercano oggi affannosamente di uscire, in un ambito in cui la massiccia diffusione della proprietà e l’ondivago interesse per il comparto da parte degli investitori istituzionali limitano significativamente le possibilità di azione.

L’inesorabile scivolamento verso la sofferenza di una quota non trascurabile di crediti, associato all’evoluzione della regolamentazione prudenziale, che impone alle banche di detenere capitale addizionale rispetto al passato a fronte degli impieghi immobiliari, ha spinto ad un ripensamento delle strategie allocative che non è escluso possa avere caratteri di strutturalità. La reiterazione del modello ritarda e prega come strategia di gestione delle insolvenze e, quantomeno nell’immediato, di contestuale autotutela, rischia di rappresentare, in assenza di miracolose inversioni cicliche, una scelta controproducente per lo stesso sistema bancario. La difesa strenua di posizioni non più sostenibili e, con essa, il contingentamento dell’indispensabile supporto della domanda finisce per limitare enormemente la platea dei potenziali interlocutori, con inevitabili ricadute in termini di illiquidità degli immobili da alienare.

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